di Francesco Gattola *

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* Il presente lavoro costituisce espressione della libera manifestazione del pensiero dell’autore e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.

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Il bitcoin, la moneta virtuale (elettronica) che sta creando non pochi problemi alle istituzioni bancarie di tutto il mondo, è all’attenzione dell’Unione Europea anche per quanto riguarda le implicazioni di ordine doganale.

 Dalla sua introduzione, avvenuta nel 2009 ad opera di Satoshi Nakamoto, ad oggi ha visto espandersi la sua circolazione: fino ad ora risultano infatti 12.276.100 i bitcoins in circolazione. Il successo è da attribuirsi alla finalità dello strumento monetario, di liberarsi dalla intermediazione delle banche per le seguenti operazioni: comprare beni e servizi presso gli esercizi che l’accettano, vendere o regalare la merce ad altri iscritti del network della rete oppure, quasi fosse una moneta come le altre, cambiare con valuta reale o tenere come bene speculativo.

In effetti si distingue dalle monete legali in corso poiché non esiste una Banca Centrale per la sua regolazione, affidata ad indirizzi anonimi. Inoltre il valore della moneta è stabilito in fixing pubblicati quotidianamente su alcuni siti accreditati per l’attribuzione del cambio che rimangono facilmente soggetti a fallimento ovvero a bancarotta fraudolenta. Il prezzo di un bitcoin è determinato dall’incontro sul mercato tra domanda ed offerta: quando la domanda aumenta, il prezzo aumenta, quando scende, allora anche il prezzo scende.

 Tra l’altro, non essendoci chiarezza di tracciabilità, il bitcoin può potenzialmente, costituire uno strumento per il riciclaggio, l’acquisto di armi, il narcotraffico, l’usura, il finanziamento del terrorismo e delle mafie. Basti pensare che in un sito del commercio on-line della droga e di altri prodotti illegali, come abiti contraffatti, medicine, sostanze dopanti, passaporti falsi, materiale pornografico (Silk Road – Via della Seta, accessibile tramite il software “Tor”, che permette la navigazione anonima) le transazioni avvengono proprio in bitcoins.

 Inoltre, come hanno già rappresentato fonti qualificate di Bankitalia e della GdF, il bitcoin, non prevedendo né l’identificazione di chi dispone dell’operazione finanziaria, nè la sua registrazione o la segnalazione di operazioni sospette per i soggetti coinvolti, sembra costituire il terreno fertile per il commercio sommerso e l’evasione fiscale.

Né vanno sottovalutati gli attacchi di hacker alla moneta virtuale, il furto di identità ed il sequestro di conti.

Al momento la BCE ha semplicemente consigliato agli istituti commerciali di non acquistare o vendere la moneta virtuale almeno fino a quando non verranno emanate specifiche direttive. Anche la Commissione Europea sta preparando un documento al riguardo mentre le banche nazionali si stanno mobilitando contro il riconoscimento della moneta. Bankitalia ha segnalato, nel rapporto annuale della sua Unità di Informazione Finanziaria, i rischi connaturati all’utilizzo dei bitcoins quali strumenti di pagamento, compresi quelli legati ad una preoccupante volatilità “intraday” (alti e bassi del suo valore di cambio nell’arco di una sola giornata) nonchè al rischio di creare una bolla speculativa.

Il sistema si basa su un software accessibile tramite iscrizione con il quale una rete di computer mette a disposizione la propria potenza di calcolo, creando e distribuendo in maniera casuale un certo numero di monete elettroniche ai propri membri, al ritmo di 6 all’ora.

Per mettere poi in contatto il venditore e l’acquirente, viene utilizzata la tecnologia del peer-to-peer (P2P): non c’è un server centrale ma ciascun utente fa da server a tutti gli altri e si evitano così le spese di commissione per le intermediazioni bancarie o finanziarie.

Molto importante è la password di accesso al conto bitcoin, dimenticata la quale diventa impossibile recuperare i propri soldi “virtuali”. Per comprarli basta una carta di credito, quindi si versano i bitcoin sull’account e tutto è pronto per l’acquisto, anche dei prodotti illegali. A breve si prevede che tali acquisti vengano effettuati anche tramite le piattaforme on-line più diffuse (E-bay, Amazon, Paypal).

Per quanto riguarda la dogana, il bitcoin dovrebbe essere considerato sotto tre aspetti problematici: come mezzo di pagamento della transazione commerciale internazionale, come oggetto di indagine finanziaria, come oggetto di indagine valutaria ai fini dell’attività antiriciclaggio.

Sotto il primo aspetto, il valore di acquisto della merce è notoriamente, nella maggioranza dei casi, il valore di transazione – prezzo pagato o pagabile per i beni venduti all’esportazione, aggiustato ove necessario – che si desume dal valore indicato in fattura. A tal proposito si rileva che l’art. 29 (3)(a) del vigente codice doganale (CDC) specifica che il pagamento non deve necessariamente essere fatto in denaro. Esso può essere fatto anche, per via diretta od indiretta, anche mediante lettere di credito e titoli negoziabili. Ma il bitcoin non può intendersi quale titolo negoziabile, cioè quale documento di garanzia o di promessa di pagamento di un determinato ammontare di denaro.

Per le merci acquistate in altre monete legali diverse dall’Euro, il valore del cambio viene indicato nella apposita casella del DAU, tenendo conto dei tassi di cambio pubblicati dalla BCE il penultimo mercoledì di ogni mese.

Per la definizione di moneta soccorre l’art. 168 delle disposizioni di attuazione del codice (DAC) per il quale “…per moneta si intende qualsiasi unità monetaria utilizzata come mezzo di pagamento tra autorità monetarie o sul mercato internazionale…”. Parrebbe, quindi, che il bitcoin possa rientrare in quest’ultima fattispecie. D’altra parte il combinato disposto degli articoli da 169 a 171 delle DAC suggerisce che il concetto di moneta sia ristretto solo a quelle sostenute o valutate da pubbliche autorità monetarie riconosciute, come lo è stato, ad esempio, per l’ECU.

Alla luce di quanto sopra, allora, appare ragionevole ritenere che il bitcoin (come altre monete virtuali) non possa essere considerato automaticamente e normalmente quale mezzo di pagamento accettabile ai fini doganali. Questo semprechè la Commissione, anche a seguito di interpretazione della Corte di Giustizia (un caso è infatti pendente presso la Corte di Giustizia dell’Unione – C-264/14), non intenda sovvertire tale assunto.

Ad ogni modo il problema di riconoscere la validità dello strumento monetario in questione e di come possano essere gestite le dichiarazioni doganali quando le fatture riportino solamente l’importo in bitcoins è già entrato nell’Agenda del Comitato sul Valore in Dogana della Commissione europea.

Riguardo al controllo valutario, questi non può avere ad oggetto le banconote non aventi corso legale nonché i mezzi elettronici di pagamento, i titoli e le banconote o monete ritenute false o contraffatte (come stabilito dal Reg. CE 1889/2005). Solo il denaro contante, quindi, rientra nei controlli in dogana e nella eventuale conseguente procedura sanzionatoria. Fatto sta che il fenomeno qui in oggetto sembra davvero costituire uno strumento che si presta facilmente al riciclaggio del denaro sporco, dato che non vi è nessuna contabilità generata dal sistema né la soglia per il libero trasferimento del denaro (attualmente nell’Unione Europea è fissata a 10.000 euro la somma da detenere senza doverla dichiarare) è facilmente identificabile, così come le stesse parti della transazione.

 Neanche le indagini finanziarie o quelle miranti a provare la sotto-fatturazione delle merci (di cui all’art. 35 comma 35 D.L. 223/2006) sembrano essere validi ausili per rilevare anomale dichiarazioni doganali.

Quanto sopra vuole semplicemente rappresentare la necessità di un adeguamento normativo di disciplina del settore, anche al fine di consentire alla dogana di intervenire nel contesto del commercio internazionale ad alta intensità di scambio di moneta virtuale, agevolata dallo sviluppo tecnologico, con mezzi e misure adeguate sia di natura tributaria che extra-tributaria.

 Non si può infatti dimenticare come lo sviluppo tecnologico ponga continuamente dei quesiti all’attenzione della comunità internazionale nelle appropriate sedi (OMD e TAXUD-Commissione Europea).

Questo è uno fra i tanti…

Un commento su "Bitcoin, il fenomeno finanziario da regolamentare per il commercio internazionale."

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